Sasso di Simone e Simoncello

Traversata del parco di Sasso di Simone da Frontino a Miratoio


Il Montefeltro è uno spicchio di terra ricco di cultura, storia e di paesaggi alpestri incastrato tra le Marche, la Romagna e la Toscana. In questo lembo di terra non ci sono montagne importanti e nemmeno “over 2000”; il monte Nerone che supera appena i 1500 metri è già al limite di questo territorio; il monte Carpegna non li raggiunge nemmeno ed è più famoso per i raduni scout e per le imprese di Pantani che per tradizioni alpinistiche. Di alpinistico nel senso più comune del termine c’è poco nel Montefeltro, i paesaggi sono collinari, con morbide e boscose montagne che raramente superano i 1000 metri, ma ce ne sono due che destano interesse, curiosità e meritano una visita, non fosse atro che per la loro insolita conformazione e l’ancora più insolita e diversa origine rispetto al territorio circostante. Sto parlando dei Sassi di Simone e Simoncello. Probabilmente è capitato a tutti di sentirne parlare o di vederne i profili in qualche immagine. Il Sasso di Simone, che raggiunge i 1204 metri di altezza e quello di Simoncello, di poco più basso, sono due enormi blocchi di roccia calcarea che si ergono come due parallelepipedi regolari dalle montagne dell'Appennino riminese, due torrioni che si elevano, nemmeno di cento metri rispetto alla loro base, relativamente vicini, ma che si staccano dai dolci profili circostanti con una evidente dissonanza paesaggistica. Sono costituiti da sedimenti marini che al contrario di quanto si può pensare si sono depositati nel Tirreno e che, emergendo dal mare hanno traslato da occidente ad oriente. Entrambi rientrano nel Parco naturale del Sasso Simone e Simoncello, nato nel 1994, originariamente interamente in territorio Marchigiano ma, in seguito all'aggregazione dell'Alta Valmarecchia all'Emilia-Romagna, oggi in parte nella provincia di Rimini (area occidentale) ed in parte in quella di Pesaro-Urbino (area orientale).Nella attigua provincia di Arezzo, nel comune di Sestino, al confine con la provincia di Pesaro-Urbino la riserva naturale del Sasso di Simone, istituita due anni dopo, completa la tutela di questo singolare territorio. Prima della descrizione sommaria della giornata un po di storia: “Sasso Simone fu scelto da Cosimo I nel 1565 nel contesto di un disegno politico perseguito a difesa e potenziamento dello stato di Firenze per costruirvi una città-fortezza che verrà denominata ‘Città del Sole’, toponimo analogo a quello di ‘Terra del Sole’, l'altra città-fortezza medicea costruita in terra romagnola. Infatti Sasso Simone rappresentava un nodo strategico del Granducato di Toscana in contrapposizione al castello di San Leo nel Montefeltro. Fu progettata dagli architetti Giovanni Camerini e Simone Genga, venne utilizzata nella sua doppia funzione sia di città militare che civile per quasi un secolo, poi, per avverse condizioni naturali e le mutate condizioni politiche la sua costruzione non fu completata e la città venne abbandonata definitivamente alla fine del XVII secolo; soltanto una strada lastricata ed alcuni ruderi rimangono oggi a testimonianza dell'ambizioso insediamento”. Per essere un marchigiano orgoglioso di esserlo non aver mai visto prima San Leo, Carpegna, ed i Sassi di Simone e Simoncello e la parte nord del Montefeltro, la Val Marecchia, non è mai stata cosa degna, aver colmato questa lacuna quando le Marche hanno perso questi comuni a favore della Romagna è riprovevole, ancor di più un disonore, si scherza naturalmente. L’occasione mi è stata data dall’escursione organizzata dal CAI di Ascoli Piceno in collaborazione con quello di Fossombrone, una intersezionale nel gergo del CAI, una due giorni montefeltrina, il primo dei due dedicato alla visita di San Leo e della sua rocca ed il secondo interamente dedicato alla traversata del Parco naturale di Sasso Simone e Simoncello. Il gruppo è davvero foltissimo, una trentina di persone, anche troppe per quella che è la mia storia di trekker e per quella che è la mia cultura montana; a parte il gruppetto di Fossombrone che ci ha raggiunto la Domenica mattina, abbiamo soggiornato nell’affascinante borgo di Fortino. Partenza comoda, di molto dopo le otto; usciamo dal paese, per un breve tratto si è percorsa la strada per San Sisto e successivamente una padronale brecciata tra i campi e case coloniche. Il campanile dell’Abazia di San Francesco di Montefortino è a vista, la vorremmo visitare, procediamo tra il fieno appena tagliato fino a ritornare per un breve tratto sulla strada principale, aggiriamo un campo di calcio per prendere una scorciatoia e per un rado bosco arriviamo all’Abazia. E’ aperta, è suggestiva come lo sono i luoghi di culto periferici pure pieni di storia e di fede; altrettanto suggestivo è il chiostro, ci viene aperto ad un primo squillo di campanello. Usciamo dal piazzale dell’Abazia dalla parte opposta del piazzale, dove è posta una grossa croce. In discesa, un breve tratto di strada asfaltata, raggiungiamo una fattoria e prendiamo alla sua destra, una stradina brecciata, in salita, fino ad incrociare ancora una strada asfaltata. Basta attraversarla e prendere il sentiero dirupato, ora in netta salita; da qui inizia la vera escursione. Saliamo tra rovi e recinti fino ad incontrare un cancello, di quelli dei pastori, di quelli tenuti chiusi da un laccio; il paradosso è che è di fatto il cancello di ingresso al parco ma anche il cancello di ingresso al poligono militare; un cartello parla chiaro: divieto di accesso, area militare. Preventivamente Filippo e Lilli, gli organizzatori di questa giornata, si erano informati, le esercitazioni si erano concluse solo due giorni prima, via libera all’attraversamento. Il sentiero è evidente, non curato e quasi privo di segnaletica in questo tratto e comunque ci sono GPS e tracce a iosa per non temere sconfinamenti; si inerpica quel tanto che basta fino in cresta da sfilacciare il serpentone di camminatori che sale lento. Sulla sella si apre un bellissimo panorama campestre sul monte Carpegna, sulla cittadina stessa e per la prima volta sull’ancora lontano Sasso di Simone. Ormai si va a vista, i sentieri sono ampie carrarecce, ora agili da percorrere, ora trafitte da profonde tracce provocate dai pesanti mezzi militari che spesso sono impegnati in queste zone. Stride il pensiero che un paesaggio così dolce sia in effetti, un parco naturale, un grande pascolo, grandi appezzamenti agricoli e boschivi ma anche un poligono militare ancora attivo; più che contrastare la logica contrasta in buon senso. In ogni caso vagare per questi sentieri è affascinante, leggere ondulazioni, grandi fioriture, piccoli boschi, panorami che si aprono ora sul monte Carpegna, ora su una lunga dorsale boscosa a cui non riusciamo ad attribuire un nome, ma che di certo si trova in terra toscana, ed ora sul Sasso di Simone il nostro vero obiettivo. Siamo su un altipiano che sale tra leggeri avvallamenti e senza grossi strappi raggiungiamo la base del Sasso che sempre di più via via che ci avviciniamo sembra essere una enorme colonna rocciosa tronca; accanto al sentiero, ormai alle pendici del Sasso, corre un recinto spinato ed i cartelli parlano chiaro, è pericoloso oltrepassarlo, il rischio è di incappare in ordigni inesplosi. Ma che sparano cannonate addosso al Sasso che è stato tutelato come bene naturale? La Logica non stride, urla e sbraita, vorrebbe ragione di tanta imbecillità, ma non possiamo far altro che infrangere i nostri dubbi sulle italiche incongruenze. A destra, nella parte boscosa del Sasso sale il sentiero; da prima un sentiero nel bosco, poi il sentiero diventa un selciato che sale “a cavatappi” intorno al massiccio, l’antico selciato che è uno dei pochi resti tardo-medioevali della Città del Sole. Brevissima la salita, uscendo dal bosco entriamo nella prateria sommitale, il piatto tetto del Sasso dove spicca una enorme croce su un altrettanto enorme basamento. Ci portiamo all’estremità sud del Sasso, dove il recinto ci avvisa che a pochi metri la cresta precipita nel vuoto. Il panorama è vastissimo, fino al mare, domina su tutti i bassi Appennini di questo lembo di terra. Bivacchiamo tra l’erba alta della prateria fino a riprendere la traversata; percorriamo tutto il perimetro del Sasso fin a scoprire il gemello Simoncello, che non sembra così tanto più basso e che soprattutto sembra essere un tutt’uno collegato al fratello maggiore dalla sella sottostante. Non è così invece. Esiste un sentiero ripido che scende dal Sasso di Simone fin sulla sella boscosa, attrezzato malamente con un cavo consumato e per questo poco sicuro; si fa una perlustrazione per valutarne le condizioni ma la scarsa manutenzione del cavo e soprattutto il grosso numero dei partecipanti all’escursione rende necessario soprassedere e scegliere la più canonica via di aggiramento a valle. Una visita veloce agli altri resti archeologici della Città del Sole, ciò che rimane delle antiche cisterne, e riscendiamo per dove siamo venuti. Accanto al faggio secolare giriamo a destra, verso la valle calancosa ma prima ci salutiamo con gli amici di Fossombrone che non possono compiere l’attraversata per l’impossibilità di ritornare alla base. Ora il sentiero è segnato dalle bandierine del CAI, si abbassa a fondo valle, l’attraversa e risale aggirando il Sasso di Simone che da qui, nel bel mezzo di ciò che rimane di una grossa frana, spicca possente come un bastione di un castello. Un breve tratto in salita e siamo di nuovo in cresta dove inizia di nuovo il bosco e dove i Sassi spariscono dalla vista. Il sentiero si inoltra nel bosco, sale lentamente fino a raggiungere la sella; non è prevista la salita al Simoncello, lo aggiriamo nel bosco senza riuscire quasi a vederlo tanto è fitta la vegetazione. Si continua in leggera discesa fino alla località Banditella dove una selva di cartelli segnaletici ci danno la direzione per Miratoio, il paese di arrivo in provincia di Arezzo. Continuiamo ancora per una trentina di minuti, forse più, nel bosco, i sassi li ritroveremo solo quando il bosco si dirada ed inizia la seconda attrazione della giornata, quel tratto di colline calancose, ferrose, dove sembra di essere sulla luna. Non domina più il verde ma un grigio ferruginoso, alcune prospettive regalano i Sassi al di sopra di queste frane, quasi sembrano galleggiare in quel mare instabile di ghiaia, sabbia, roccia dove tutto diventa improvvisamente instabile. Questo è il versante toscano del parco, diversamente affascinante, forse ancora più peculiare ed unico, anche questo con la doppia valenza di parco e quindi territorio sottoposto a tutela, e poligono militare. Mi viene quasi il sospetto che abbia prevalso la logica della difesa del territorio nel vero senso del termine; in fondo quale difesa migliore di quella di un esercito che si diverte a prendersi a cannonate? Sull’orlo di queste creste così instabili il sentiero, sempre una rovinatissima sterrata, corre devastato dai profondi solchi con le orme di enormi pneumatici. In qualche punto il fondo è stato rinforzato con posticci rinforzi, una sorta di passerelle a trattenere e sorreggere il peso dei mezzi che ci passano sopra. In altri tratti la natura sta prendendo il sopravvento allungando i solchi franosi fin oltre la strada. Sembra davvero che si stia riappropriando del territorio, forse ha deciso autonomamente quale sia il modo migliore per tutelarsi. Comunque questo tratto del percorso è estremamente interessante, spero che le foto rendano giustizia al valore naturalistico che abbiamo vissuto. Oltre i calanchi il sentiero riprende a scendere, un ultimo sguardo ai due Sassi ormai di nuovo minuscoli sull’orizzonte e tra praterie e copiose fioriture scendiamo veloci verso Miratoio a la fine dell’attraversata. A cavallo di tre regioni abbiamo percorso diciannove chilometri e superato un dislivello totale di 920 metri; ci siamo goduti l’unicità dei due Sassi, infiniti paesaggi campestri e fioriture fin dove l’occhio potesse vedere. La costante che mi ha seguito per quasi tutto il percorso è stata l’incongruenza parco-poligono militare, non sono riuscito a farmene una ragione, ma questo non mi ha impedito di vivere una bella giornata e soprattutto non mi ha impedito di colmare una colpevole mancanza in termini di conoscenza, nonostante tutto, della mia regione.